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martedì 29 novembre 2011

PREPARIAMOCI INSIEME ALL'ESAME!

Inizio oggi ad inserire, spero quotidianamente, la bozza di un atto civile, la bozza di un atto penale e sentenze varie recenti, la cui conoscenza può essere utile in vista dell'esame di avvocato.
Le bozze vanno prese in quanto tali, semplice ausilio alla preparazione e non sostituzione dello studio.
Inutile dire, inoltre, che non rispondo di eventuali errori od orrori.
Insomma, apprezzate almeno lo sforzo!!!
Un abbraccio a tutti!!!
Avv. Alberto Filippini

ATTI CIVILI

1) SFRATTO PER MOROSITA'

TRIBUNALE ORDINARIO DI
Intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida
Nome e dati anagrafici intimante
premesso che
1.       ____________è proprietario di un immobile posto in  composto _________
2.      In data __________, l’attore stipulava con ________un contratto avente ad oggetto la locazione dell’immobile sopra indicato.
3.      La locazione veniva pattuita per la durata di
4.      Il corrispettivo annuo per la locazione veniva pattuito in € _________da corrispondersi in rate mensili anticipate di € ____ al domicilio della locatrice entro ___________.
5.      A tutt’oggi, la conduttrice risulta inadempiente nel pagamento dei canoni relativi ai mesi di_____________per un importo complessivo di € ____________i.
6.      Inoltre, la stessa non ha provveduto al pagamento delle quote condominiali relative ai mesi ____________ per un importo complessivo di € _________.
7.      A nulla sono valsi i solleciti sia scritti che verbali volti ad ottenere il pagamento dei canoni scaduti, tanto che il persistere della morosità giustifica l’intimazione di sfratto ovvero, in caso di opposizione, la risoluzione del contratto per inadempimento.
Tutto ciò premesso, ___________, come sopra rappresentato e difeso
INTIMA
a ______________, residente in, nella Via  lo sfratto per morosità dall’immobile sopra indicato, con l’invito a rilasciarlo immediatamente, in favore del proprietario, libero da persone e cose, nella completa disponibilità dell’intimante e, nel contempo, ai fini della convalida 
CITA
____________, residente in nella via_________ comparire all’udienza del dinanzi al Tribunale di ___, Giudice designando con l’invito a costituirsi nei modi e nei termini di legge con l’avvertimento che non comparendo o comparendo ma non opponendosi, il Giudice convaliderà lo sfratto ai sensi dell’art. 663  c.p.c.
Conclusioni
Voglia la S.V. Ill.ma contrariis reiectis:
1.       In via principale: convalidare l’intimato sfratto per morosità, relativo all’immobile posto in _____________ con fissazione a breve della data di rilascio;
2.      In via subordinata: in caso di opposizione, pronunciare ordinanza di rilascio immediatamente esecutiva, fissando la data per l’esecuzione;
3.      Nel merito: dichiarare risolto il contratto di locazione, per grave inadempimento della conduttrice, rigettando l’opposizione proposta, sempre con condanna al rilascio;
4.      In ogni caso: emettere decreto ingiuntivo nei confronti della conduttrice per il pagamento dei canoni scaduti relativi ai mesi di _____________ nonché delle quote condominiali dovute  pari a € ______ e per i canoni a scadere fino all’effettivo rilascio dell’immobile de quo oltre agli interessi legali di mora.
5.      con vittoria di spese ed onorari.
Ai sensi e per gli effetti di legge si dichiara che il valore della controversia è pari a €uro________.
Produzioni
1.       copia contratto di locazione  del ________________;
2.      copia raccomandata a.r. del ___________.
Luogo e data
Firma avvocato                  


ATTI PENALI

1) RIESAME EX ART. 324 C.P.P.

Tribunale di
Richiesta di riesame ex Artt. 324, 354 C.p.p.
Il sottoscritto difensore di fiducia, giusta nomina depositata in data  , di Tizio, nato a _______, il _______, residente in _________, propone richiesta di riesame del decreto con il quale Pubblico Ministero presso il Tribunale di ………… ha disposto la convalida della perquisizione e del sequestro probatorio, eseguiti in data………. dalla polizia giudiziaria nei confronti di Tizio, per i seguenti
Motivi
L’impugnato decreto è nullo.
La perquisizione ed il sequestro, con il medesimo convalidati, sono illegittimi in quanto eseguiti dalla polizia giudiziaria a seguito di una mera segnalazione anonima.
Giova al riguardo ricordare che, ai sensi dell’Art. 333, terzo comma, C.p.p., “Delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’Art. 240 C.p.p.” ovvero salva l’ipotesi di documenti anonimi costituenti corpo del reato o provenienti dall’imputato.
La denuncia anonima non può valere come notitia criminis, in quanto essa è per definizione priva delle caratteristiche che deve possedere una notizia di reato per poter essere considerata tale, dunque suscettibile di utilizzazione processuale.
La notizia di reato deve, infatti, pervenire all’autorità competente in un atto di cui un soggetto si assuma la paternità e deve, altresì, essere sufficientemente dettagliata al fine di delineare un fatto che abbia le connotazioni essenziali di una fattispecie criminosa, idonee a legittimare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato ed il conseguente avvio delle indagini preliminari.
La denuncia anonima può tuttavia stimolare una attività di accertamento della autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, purché suddetta attività non si risolva nel compimento di atti pregiudizievoli dei diritti fondamentali della persona.
Orbene, è evidente che una perquisizione ed un sequestro siano per natura atti lesivi dei diritti del cittadino.
In ragione dell’oggettivo ed intrinseco carattere pregiudizievole, i citati mezzi di ricerca della prova sono ammessi solo se preordinati alla ricerca ed alla conseguente acquisizione del corpo del reato o di cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti, nell’ambito di una attività investigativa relativa ad una determinata notitia criminis che, per i motivi sopra esposti, non può essere costituita da una segnalazione anonima.
Al contrario, la perquisizione ed il sequestro, erroneamente convalidati dal Pubblico Ministero, venivano eseguiti nei confronti di Tizio esclusivamente in forza di una segnalazione anonima ricevuta dalla polizia, oltre la quale non vi era nessun altro elemento che potesse far ritenere concretamente sussistente un fumus commissi delicti e così legittimare l’iniziativa della stessa polizia giudiziaria.
Peraltro, la illegittimità della perquisizione e del sequestro de quibus rileva anche sotto un altro profilo.
L’Art. 103 C.p.p. prevede delle speciali garanzie di libertà con riferimento alle ispezioni, alle perquisizioni o ai sequestri che debbano svolgersi nell’ufficio di un avvocato difensore,  intendendosi per difensore tanto il difensore della persona imputata od indagata nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgere le attività di ispezione, perquisizione o sequestro, quanto un qualsiasi professionista, iscritto all’albo forense, che abbia assunto, nel procedimento in questione od in altro procedimento estraneo alle attività suddette, la difesa di un assistito.

Le garanzie di cui all’Art. 103  C.p.p. costituiscono, infatti, secondo il  più recente orientamento giurisprudenziale, espressione, non già di un privilegio di categoria, bensì del diritto di difesa, la cui inviolabilità è sancita dall’Art. 24 della Costituzione.
Le disposizioni di cui all’Art. 103  C.p.p. sarebbero dovute essere rispettate con riferimento alla perquisizione ed al sequestro operati nei confronti di Tizio, posto che tali atti venivano compiuti all’interno di uno studio professionale di cui era titolare un altro avvocato, Caio.
Inoltre, la norma richiamata dispone, ai commi terzo e quarto, che “Nell’accingersi ad eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento. Alle ispezioni, alle perquisizioni ed ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice”.
E’ palese l’inosservanza di tali disposizioni con riferimento alla perquisizione ed al sequestro eseguiti nei confronti di Tizio all’interno dello studio professionale.
In primo luogo, l’attività di perquisizione e di sequestro è stata posta in essere non dal giudice o dal pubblico ministero da questi autorizzato, bensì direttamente dalla polizia giudiziaria con evidente violazione del comma quarto dell’Art. 103 C.p.p.
Inoltre, la medesima polizia procedente ha omesso di inviare  al consiglio dell’ordine forense l’avviso prescritto a pena di nullità dal terzo comma dell’Art. 103 C.p.p.
Suddetto avviso è obbligatorio nel caso in cui l’attività di ispezione, perquisizione o sequestro venga svolta nell’ufficio di un difensore, con la sola eccezione dell’ipotesi in cui il difensore sia lo stesso indagato nei confronti del quale si deve procedere.
Eccezione che non si configura nel caso di Tizio.
La polizia giudiziaria era, infatti, tenuta a dare l’avviso de quo  poiché la perquisizione ed il sequestro dovevano essere eseguiti, come detto, in uno studio di cui titolare era un avvocato del tutto estraneo all’attività investigativa e nei confronti di un difensore, Tizio, che non era ancora formalmente indagato: nessuna notizia di reato era stata ancora iscritta nel relativo registro.
Da ultimo, si eccepisce la violazione degli Artt. 253, 354 C.p.p., con conseguente illegittimità del sequestro operato nei confronti di Tizio.
Ciò in quanto la misura disposta dalla polizia giudiziaria ha riguardato beni, quali la scrivania ed il computer personale di Tizio, che non costituiscono né corpo del reato né tanto meno cose pertinenti al reato.
Per tutti questi motivi, Vorrà l’adito Tribunale di……………… disporre l’annullamento dell’impugnato decreto e per l’effetto disporre la restituzione dei beni sequestrati a Tizio.
In subordine, disporre altra misura meno gravosa e nominare custode dei beni sequestrati Tizio
Luogo, Data , Avv.                                      

SENTENZE E MASSIME

APPROPRIAZIONE INDEBITA
AVVOCATO CLIENTE SPESE LEGALI
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 24-06-2011, n. 25344
Svolgimento del processo
Con sentenza del 8/7/2010, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza pronunciata in data 21/01/2008 con la quale il Tribunale della medesima città aveva assolto G.A. dal reato di cui all'art. 646 c.p., "per essersi appropriato indebitamente della somma di Euro 16.710,00 percepita al solo scopo di corrisponderla al suo legale avv. L.N. ed in realtà mai consegnata".
Avverso la suddetta sentenza, il PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell'art. 646 c.p..
Sostiene, infatti, il ricorrente che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore sono detenute dalla parte vincitrice nomine alieno, con la conseguenza che, mutare ad opera della parte vincitrice in giudizio la destinazione delle somme liquidate dal giudice in sentenza trattenendole per sè, costituisce un comportamento appropriativo che integra gli estremi della condotta descritta nell'art. 646 c.p..
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
Il fatto che ha dato origine al presente procedimento penale è pacifico:
all'esito di un giudizio civile, al G., assistito dall'avvio L.N., veniva liquidata la somma di Euro 16.710,00 a titolo di competenze legali. Il G., però, non pagava l'avv.to L.. Da qui il processo.
In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perchè possa ritenersi configurabile il reato di cui all'art. 646 c.p., sono i seguenti: a) l'appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtù di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volontà di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l'interversione del possesso ossia la sua volontà di non restituire più il bene del quale ha il possesso; d) l'ingiusto profitto.
Infatti, la ratio dell'art. 646 c.p., "deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l'autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa": Cass. 11628/1989 riv 182001.
Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma liquidata dal giudice a favore del G. fosse o meno di proprietà dell'avv.to L.; b) se il G. la possedeva in virtù di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuò l'interversione.
La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente all'avvocato.
In proposito è indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.
Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall'interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalità.
Nell'ipotesi, poi, di una causa civile, le modalità con le quali il professionista può farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: è l'ipotesi espressamente prevista dall'art. 93 c.p.c., che disciplina la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese.
Nel caso in esame, è pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell'avv. L. ma direttamente a favore del G. in quanto parte vincitrice a titolo di spese.
E' chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprietà ed alla stessa il G. era libero di dare la destinazione che più gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell'avv.to L..
Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l'opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Erra, quindi, il P.G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva un vincolo di destinazione a favore dell'avvocato.
In realtà, la somma era di proprietà esclusiva del G. essendo stata liquidata a suo favore, sicchè nessuna appropriazione indebita è ipotizzabile proprio perchè manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprietà dell'avvocato e che il G., possedendola per un legittimo titolo, effettuò l'interversione del possesso rifiutandosi di consegnarla all'avvocato.
Nel respingere pertanto il ricorso può enunciarsi il seguente principio di diritto: "non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di una causa civile - a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali - che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma".

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