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La Formazione è un'emozione

giovedì 31 maggio 2012

Siamo praticanti o caporali? - The end (?) 31-5-12

Mi ero ripromesso di non proseguire con questa saga, che pure ha visto, tra tutte le sue puntate, oltre 10.000 pazienti e curiosi lettori.
Di recente, però, mi sono tornati alla mente alcuni episodi che mi sembrava offensivo non menzionare, in quanto perfettamente coerenti con il senso di questa rubrica, da seguire con animo leggero e con spirito libero.    
Il titolo del primo episodio lo rubo da una memorabile battuta del film "I soliti ignoti" e dal canovaccio di tanti telefilm d'azione americani
SEGUI QUELLA MACCHINA!!!
Diversi anni fa, una giovane praticante, oggi gratificata da una diversa professione, era felicemente inserita in uno studio legale giovane ma qualificato.
Il capo studio era sempre disponibile per le spiegazioni, era molto corretto per gli adempimenti e non tirava pacchi dell'ultimora (perlomeno più di quanto un capo studio non sia autorizzato a fare...); inoltre, udite udite, a fine mese riusciva perfino a riconoscere un seppur minimo rimborso spese alla collega praticante.
Questa situazione ideale era resa ulteriormente gradevole dal fatto che la collega avesse stretto amicizia anche con la moglie del capostudio, che ogni tanto veniva a fare visita al marito, al fine, se capitava, di andare poi tutti insieme, praticante compresa,  a mangiare una pizza o a bere una birra.
Una sera di inverno, però, accadde l'imponderabile.
La giovane collega usciva, dopo una allegra serata di bevute, da un locale tedesco sito a Cagliari in una via alberata, poco dopo la via Roma.
Al momento di entrare in macchina, la collega vide transitare la inconfondibile macchina super ultra accessoriata del capostudio Tizio.
L'ebbrezza alcolica, unita alla prima brezza di inverno, fece venire alla collega la voglia di non rientrare subito a casa.
"Segui la macchina di Tizio" disse al fidanzato, "è sicuramente con la moglie Caia, vedrai che li convinciamo ad andare da qualche altra parte insieme a bere un'ultima birra".
La macchina turbo nonsochè di Tizio proseguiva lenta lungo il viale alberato e ciò permise ai due fidanzati di seguirla con facilità, intravedendo le due teste del guidatore e della passeggera.
"Guarda, sta accostando vicino a quel distributore, affiancali così gli lancio un urlo e li faccio spramare!!!" fece la giovane.
Quante pessime idee ci passano, a volte, per la testa, e quante parole in più del dovuto abbiamo tutti  pronunciato nella nostra vita (che pure vanno a compensare le parole non dette quando sarebbe invece servito...).
"Cuccati!!!" fu l'urlo da stadio proferito dalla collega verso la coppia seduta nell'altra macchina,  amplificato da un tasso alcolemico di certo superiore ad 1,5.
Ci sono però attimi che diventano interminabili; l'universo intero, in certi momenti, si ferma come se fosse in attesa di un nuovo e definitivo big bang.
Questo fu uno di quegli istanti.
Fotografia Polaroid (o Instagram per i più aggiornati):
Le due macchine affiancate nel viale alberato, quattro persone che si scambiano sguardi frastornati.
Zoomata sul dettaglio:
tre cittadini comunitari che non riescono a spiccicare parola ed una cittadina di colore, chiaramente extracomunitaria visto che ha un abbigliamento poco adatto al nostro inverno, che scappa dalla macchina gridando "Polizia, Polizia!".
Titoli di coda:
Il capo studio, rimasto ormai solo in macchina, che calca sull'acceleratore e in meno di dieci secondi dimostra la potenza della sua macchina.
Ce n'è abbastanza per una sceneggiatura di qualche fiction da mezza serata.
Che notte di tormenti fu quella per la giovane collega, di colpo rinsavita dalla sbornia.
E che incertezze sul futuro prossimo: "devo dire tutto alla moglie? Lei deve sapere, magari c'è anche un problema di sieropositività"; oppure anche "Ma con lui devo parlarne? Magari mi saprà dare uno straccio di spiegazione" (n.d.a. sì certo! magari prendendo spunto da qualche vecchio film di Almodovar o qualche b-movie tanto caro a Tarantino)  
Da ultimo "E io devo rimanere in studio? ma se vado via che cavolo faccio a meno di sei mesi dall'esame?"
Verso le quattro del mattino la decisione: "Ma certo! Sono sicura che affronterà lui il discorso, mi convincerà e saprà gestire al meglio il tutto! Meglio dormire adesso"
La mattina dopo, nell'entrare in quello studio, niente, però, sembrava più come prima, ogni cosa aveva un sapore diverso e tutto profumava di ambiguità.
La ragazza aspettò un giorno e poi due e poi tre. Nessun accenno all'accaduto da parte del capostudio.
In realtà, non vi fu più alcun segno di esistenza ulteriore del capostudio. 
Adempimenti scritti in un foglietto, fondo cassa consegnato a mezzo segretaria, serate intere senza alcuna disposizione o richiesta di ricerche o redazione atti.
Dopo due settimane, la lieta avventura poteva dirsi conclusa, alla pari della pratica; nessuna ulteriore necessità della sua presenza da parte dello studio e nessun reale stimolo a rimanere in quelle stanze da parte della collega. Come dirsi addio senza rivolgersi la parola.
E la moglie? Chiederà qualche curioso!
La moglie è sempre lì, che ogni tanto va a fare visita in studio al marito ed a fare conoscenza con il nuovo praticante, un simpatico giovanotto maggiormente pragmatico e, soprattutto, molto ma molto miope, che non saprebbe neppure riconoscere una cinquecento da una megaautomobile...

Il secondo episodio, che unisce il diavolo con l'acquasanta, mi sento invece di intitolarlo, più pomposamente
ART. 19 COSTITUZIONE ITALIANA
Confessatelo!
Non vi ricordate a quale insostituibile principio etico si riferisca questo articolo della nostra Costituzione.
Se non ripassate adeguatamente, farò la spia con chi oggi si compiace di citare, in ogni occasione ufficiale, con militare coerenza, passi interi della Carta Costituzionale.
Vi do un aiutino: si tratta della libertà  di professare la propria fede religiosa, sempre e comunque.
Beh, non mi si verrà a dire che ci sono studi nei quali gli aspetti religiosi prevalgono sulla preparazione, nei quali la conoscenza delle scritture si affianca, laddove non si sovrappone, al codice civile?
In tutta sincerità, credo che questa della religione, a fronte di altre fisse dei capistudio, non sia certo tra le più frequenti, superata com'è dalla preferenza per praticanti di un particolare sesso, tifosi della stessa squadra, frequentanti la medesima palestra, una identica parrocchia politica o circoli degli appassionati della geometria.
Un collega amico, ad esempio, amava definire in questo modo il praticante dell'epoca: "è un ottimo compagno di bevute e ci divertiamo molto nei fine settimana ma di diritto non capisce una mazza!"
E' normale, mi si dirà, scegliere tra soggetti a noi affini le persone con le quali trascorrere buona parte della giornata.
Io, personalmente, ritengo maggiormente formativo e costruttivo avere contatti con persone che siano libere di pensare e vivere in modo anche diametralmente opposto al mio, fatti salvi i capisaldi della serietà (quando serve), bravura, educazione ed intelligenza.
Comunque, a parte  le mie usuali divagazioni, un collega riteneva che, per una sempre maggiore coesione di intenti, i colleghi di studio dovessero obbligatoriamente accomunarsi, il venerdì pomeriggio, in una salvifica recita collettiva del rosario, riuniti circolarmente in una stanza dello studio  e pronti a proseguire una ideale staffetta tra il Padre Nostro e la Ave Maria.
Tutto questo, diceva il capostudio, ovviamente con la massima libertà e senza particolari vincoli, se non quello che le usanze dello studio sono inviolabili, sacre appunto!, e che chi non si adegua non è pronto per fare la pratica con me.
Attenzione: siccome l'argomento religioso è giustamente - e come detto costituzionalmente - prezioso, ci tengo a precisare che io non mi sogno minimamente di stigmatizzare alcuna pratica religiosa e men che meno una importante sacra funzione del cattolicesimo.
Mi sembra però che, messa nei termini tutto sommato iniqui della pressione ambientale del capo studio, al quale puoi dire di no ma se dici di no quella è la porta, anche una legittima pratica religiosa diventi prevaricazione di un diritto altrui, quello di andare in studio per lavorare e non per condividere scelte religiose altrui, oppure di non andare in studio, il venerdì sera, per non fare cose in cui non si crede.

La terza e ultima pillola nasce da una contestazione che mi è stata mossa in questi mesi.
"Scrivi bene tu" mi è stato detto, "mettendo in piazza i difetti e le paranoie altrui; perchè non parli anche di quello che possono pensare di te le persone che hanno fatto pratica nel tuo studio?"
Beh, la risposta è intuitivamente semplice.
Quello che io faccio, gli errori od anche le peggio cavolate che possono risultare intollerabili per chi ha o ha avuto la sfortuna di stare in studio con me, da tutti possono essere conosciute tranne che dal sottoscritto, visto che sarei comunque l'ultima persona alla quale verrebbero riferite.
Spero solo che chi è stato in studio con me mi riconosca, oltre a tantissimi difetti, quanto meno la buona fede, la aspirazione di cercare sempre una soluzione condivisa e mai imposta dall'alto.
Comunque, visto che mi è stato richiesto, voglio ricordare in questa sede almeno un aneddoto che mi vede inglorioso protagonista e che, parafrasando, si intitola:
UN SMS TI ACCORCIA LA VITA!!!
Parecchi anni fa, presi in studio il mio primo praticante, un ragazzo molto simpatico che mi era stato caldamente raccomandato da un amico fraterno.
Andavamo molto d'accordo e, anche in quel caso, avevamo alcune passioni comuni, la musica ad esempio, ed altre diverse, con opinioni spesso antitetiche.
Dalla prima settimana, si capì che il ragazzo, di seguito denominato Mevio, non amasse il diritto e non lo sentisse nelle sue corde professionali e umani. Dippiù: a mio avviso lo detestava proprio!
In ogni caso, nei primi mesi si impegnò molto, cercando di fare buon viso a cattivo gioco e di farsi piacere le cose che faceva.
La sua presenza in studio aveva poi una indubbia utilità, in quanto consentiva a tutti di avere sempre un aggiornamento sulla ora esatta, manco fossimo in perenne collegamento con l'orologio atomico di Greenwich.
Ogni santo giorno dell'anno, fosse in atto una bufera, ci fossero anche un milione di adempimenti arretrati o stesse per cascare il mondo, alle ore 18.30 Mevio si alzava dalla sua scrivania ed usciva dallo studio.
Si recava in una vicina pizzeria ed acquistava, invariabilmente, una pizzetta ai frutti di mare ed una coca cola light.
Dopo di che tornava in studio, si toglieva la giacca e, seduto nuovamente nella sua sedia, si gustava in santa pace il pasto pomeridiano.
Niente poteva impedire questo rito; nè una telefonata improvvisa od un cliente impaziente potevano smuovere Mevio prima che, in una buona mezzora sindacale, venisse espletato il rito della merenda.
Dopo di che, finita la pizzetta e prosciugato l'ultimo goccio di coca light, Mevio si riaccorgeva della esistenza del mondo circostante e, abbandonate le cozze, riprendeva a masticare l'amaro diritto.
Ma questo è solo il cappello per descrivere l'amico praticante, non certo l'episodio che vede anche il sottoscritto come protagonista in negativo.
In quei pochi mesi, avevo ormai familiarizzato con la impazienza di Mevio di andarsene dallo studio e di chiudere ogni attività entro e non oltre le ore 19.55 (i cinque minuti finali servivano a suo dire per mettersi il giubbotto, fare il giro dei saluti e prendere l'ascensore).
Ebbene, un giorno mi trovavo a Roma per lavoro ed ero in procinto, intorno alle 18, di imbarcarmi per il rientro a Cagliari.
Sempre per rimanere in tema delle parole in più da evitare, decisi di fare uno scherzo a Mevio e lo chiamai in studio proprio mentre ero sull'autobus verso l'aereo:
"Pronto sono Alberto, volevo avvisarti che ho perso l'aereo e che prenderò il prossimo alle ore 20.
Piuttosto, visto che sarò in studio intorno alle 21.30, ti prego di aspettarmi perchè dobbiamo stabilire un piano d'azione per domani e ti devo dire delle cose importanti".
Quale flemma seppe mantenere Mevio in quella occasione, con quale nonchalance mi rispose:
"Va benissimo, non c'è nessun problema".
Piuttosto, proprio mentre ero sulla scaletta dell'aereo, mi sentti vibrare, bzzzzz, bzzzzz, un messaggio in arrivo.
Arrivai al mio posto e, prima di spegnere il telefono, lo lessi.
Mittente Mevio: "lo str*#§zo ha detto che lo devo aspettare, non ci possiamo vedere".
Lo ammetto, impiegai cinque minuti buoni per capire che il messaggio non era indirizzato a me ma ad un'altra persona e che io ero invece il triste argomento del messaggio, ridotto a mero oggetto di una evacuazione intestinale. 
Ah, passai l'ora abbondante del volo a scervellarmi su quali torture avrei potuto compiere sul praticante, quali sevizie avrei potuto infliggergli per l'insulto rivoltomi.
Sia ben chiaro che ero perfettamente consapevole di essermi messo da solo nelle condizioni di ricevere una maledizione.
Quello che invece mi dava fastidio è che si percepiva benissimo che l'insulto non fosse estemporaneo ma gli venisse dal cuore, esprimesse un malessere che andava oltre il ritardo di un'ora ma che riguardasse l'intera pratica, l'intero rapporto con il sottoscritto.
Dopo avere più volte, durante il volo, infilato cento spilloni nel cuore del praticante e dopo essermi ripromesso di farlo volare dal quarto piano, arrivai in studio alle 19.15, proprio dopo che lui aveva finito la pizzetta.
Ci guardammo negli occhi, lui capì che io avevo scherzato ed io capii in un attimo tutto il suo tormento dello stare in un posto del quale non gliene importava nulla a fare una professione che gli faceva schifo.
Capimmo entrambi che non c'era niente di male tra di noi, se non che ad uno piaceva quello che faceva ed all'altro no e che non ci saremmo mai potuti incontrare su quel terreno.
Un mese dopo, venne da me in stanza e mi disse che si trasferiva in un'altra città e che aveva accettato una offerta di lavoro in un settore completamente diverso.
Ci lasciammo, per quello che mi riguarda, in buoni rapporti, anche se non è mai più capitato di incontrarci ed io ho conservato di lui solo un maleodorante messaggio.

E questo è tutto! praticanti e avvocati continueranno a frequentarsi ed a lamentarsi gli uni degli altri.
I primi non accetteranno regole ed abitudini imposte dai secondi ed i secondi non riusciranno a capacitarsi del tempo volato via negli ultimi dieci-vent'anni e di quanto appaiano datati agli occhi di un neolaureato.
Ah, dimenticavo, buona parata per la festa della Repubblica a tutti!!!
Alberto Filippini
Responsabile ABCMediazione