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La Formazione è un'emozione

martedì 3 maggio 2011

Siamo praticanti o caporali? parte prima

La vita del praticante è dura e credo che nessuno possa metterlo in dubbio.
In fondo, si tratta di costruirsi una professione ed una vita e si sa che nessuno ti regala niente.
Ma che la vita del praticante possa diventare ancora più pesante e infernale questo, molto spesso, lo si vorrebbe evitare.
Solo che, a volte, l'inferno in terra finisce per dipendere dai grandi capi, da coloro che, magari solo da qualche anno, hanno abbandonato file, fotocopie ed umiliazioni ed oggi  fanno invece ingresso nei tornelli del Palazzo con il piglio di Cesare che rientra a Roma dopo la conquista della Gallia.

La casistica dei rapporti tra praticante e capo studio è estremamente variegata e finisce, senza grandi sorprese, con il rappresentare tutte le gioie e le miserie dei rapporti umani.
In fondo, tutto dipende anche dal grado di educazione dei singoli e dalla volontà di rapportarsi con esseri umani piuttosto che con inferiori-superiori.
In questi anni di formazione, ho avuto modo di toccare con mano quanto sia ampia questa casistica e mi diverte l'idea di suddividerla in categorie che, per ragione di spazio (e di mia memoria...) tratterò in più occasioni.
Le prime tre categorie sono le grandi doti che il capo deve avere e trasmettere al praticante.

INSEGNAMENTO
Sull'insegnamento, in realtà, nessuno è o nasce scienziato ed è dunque importante che il capo studio si limiti a sforzarsi di trasmettere quanto è a sua conoscenza, senza riserve mentali o gelosie.
Certo, diverso è il discorso di quel capo studio che, nel ricordare al proprio praticante quanto quest'ultimo fosse meschinamente ignorante, lo esortava a rimanere tale, per evitare che le troppe elucubrazioni dottrinali lo distraessero dal vero obiettivo, rapinare i propri ed altrui clienti.
Ancora più curioso è il caso di quell'avvocato che non spiegava deliberatamente alla praticante come redigere gli atti, per evitare che quest'ultima potesse diventare più brava di lui e fargli fare brutta figura con i clienti.
Certo vi era ancor meno da imparare in quello studio dove, scientemente, si preferiva non abbonarsi alle riviste e si mandava il praticante a cercare di rubarle (rectius: sottrarle) presso gli enti pubblici dove erano date in visione. ("guarda che mi serve la numero 7 del 2009, non la numero 8, che abbiamo già (rubato)"
"Avvocato, e se mi chiedono di quale studio sono?" "Tu di che sei dello studio ........, tanto è morto da poco e nessuno lo conosceva")

RISPETTO
C'è ancora bisogno di ricordare che le persone, tutte, vanno trattate con rispetto?
Eppure, non la pensa così quel collega che chiama, facendosene anche vanto, la praticante con un nome maschile.
Qui, però, avrebbe gioco facile la psicanalisi, visto che quando era praticante lui, veniva chiamato con un nome femminile e non aveva il coraggio di ribellarsi.
Oppure c'è quella capo studio, che forse comparirà anche nella pruriginosa categoria "Sex", che appella i propri praticanti con simpatici appellativi del fallo o, al massimo, con il termine "cosino".
Ma forse è anche mancanza di rispetto quella del praticante che irrorava di liquido giallastro le piante gelosamente coltivate dalla capo studio, come pure è totale assenza di rispetto quella del capo studio che si faceva accompagnare per lo shopping e faceva rimanere i praticanti in macchina, anche ore, per non pagare il parcheggio.
Ma più di tutti, in questi anni, mi è sembrata mancanza di rispetto quella del capo studio, le cui gesta  peraltro compariranno in numerose categorie, che non amava aprire, per nessun motivo ed in nessuna stagione, i finestrini della macchina ma che si compiaceva poi, in presenza dei passeggeri-praticanti, per le sue rumorose quanto odorose flatulenze.   
E dopo questa perla, nonostante la categoria Rispetto meriti una più adeguata trattazione, passiamo ad una nota ancora più dolente


RETRIBUZIONE
Che i praticanti debbano essere retribuiti lo prevede il codice deontologico.
Al riguardo, la nomenklatura che governa la categoria, sempre pronta a dispensare severe reprimende se qualche giovane prova a sporgere il capo fuori dal loculo che gli è stato attribuito, non ha mai adottato alcuna sanzione a carico di chi non adempia a quel preciso dovere deontologico.
Intendiamoci: retribuzione non significa stipendio, non significa "così campo alle tue spalle", non vuole neppure dire "ho trovato lo scemo che mi mantiene".
Io, nella mia visione del mondo, parlerei di "incentivo" allo svolgimento della professione e di premio di "inserimento" nel mondo della avvocatura.
Questo, nel rispetto ovviamente sia delle disponibilità economiche del capo studio che del lavoro effettivamente svolto dal praticante.
Forse, però, in attesa che il mondo migliori, sarebbe il caso di evitare quei casi nei quali il capo studio chiede denaro al praticante "in fondo ti faccio occupare una mia stanza", oppure pretende percentuali da usura (fino al 70-80 %) sulle pratiche personali che il praticante chiede di poter seguire.
Come pure è un curioso mix di insegnamento-rispetto-retribuzione quel diktat del capo studio che impedisce ai propri praticanti di avere cause proprie e pretende di avere solo il suo nome in procura, con relativi integrali emolumenti. ("In caso contrario, sai qual'è la porta")
Ma forse non costituisce neppure un esatto principio di (auto)retribuzione quella del praticante che fa lo sgrunfo sul fondo cassa o che adduce spese mai sostenute per essere rimborsato.

Come pure, ma l'aneddotto meriterebbe un migliore riscontro, non costituisce compenso quella disavventura del praticante che, autorizzato ad utilizzare l'auto "padronale" per recarsi in un Tribunale del circondario, volle prima recarsi sotto casa della fidanzata (ad pompam vel ostentationem) ma, nel salire a chiamarla, pensò bene di lasciare la macchina incustodita e farsela fregare...

E poi e poi e poi...
 
Responsabile ABCmediazione
Avv. Alberto Filippini


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